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Lineamenti di sociologia della collusione: esclusione automatica e unicità del centro decisionale

Tar Lombardia, Milano, sez. I, 19 luglio 2019, n. 1688

Lineamenti di sociologia della collusione (o di psicopatologia per dirla con il Maestro): esclusione automatica e unicità del centro decisionale.

In una gara nella quale era prevista l’esclusione automatica, il seggio di gara, in ossequio all’allora vigente art. 97, comma 2, del d.lgs. 50/2016, ha proceduto al sorteggio dei criteri esposti nel predetto articolo, ed a delineare la graduatoria della procedura.

La società ricorrente prospetta che l’esito di gara dato dall’entità dei ribassi, costituisca il frutto di una strategia concertata tra alcune imprese, e quelle indicate per il subappalto, ciò che avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante, previo l’esperimento di una apposita istruttoria, ad escludere tali imprese dalla gara ex art. 80, comma 5, lett. m), del d.lgs. 50/2016, a tenore del quale “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni (…) l’operatore economico si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”.

Secondo Tar Lombardia, Milano, sez. I, 19 luglio 2019, n. 1688, la ricorrente ci ha visto giusto.

Il Collegio ritiene che l’art.  80, comma 5, lett. m), del d.lgs. 50/2016, preveda “in particolare, tale ultima norma attribuisce rilevanza a due condizioni, che devono ricorrere congiuntamente, ed afferenti:

– a latere soggettivo, al rapporto esistente tra le varie imprese partecipanti alla gara, assuma esso la natura del vincolo di controllo o di collegamento ben noto in campo societario e codificato all’art. 2359 c.c., ovvero il carattere di una “relazione, anche di fatto” tra di esse;

– a latere oggettivo, alla ascrivibilità delle diverse offerte formulate ad un unico centro deliberativo, frutto dunque di una volontà comune e di un contegno concordato tra le imprese“.

Il Tar meneghino, dà dapprima atto che chiaramente la presenza di un “formale” vincolo di controllo o di collegamento  rende più agevole la prova, della sussistenza del previo concerto e, dunque, della alterazione del libero svolgimento della gara e della leale competizione tra i partecipanti, presidiato dalla segretezza delle singole offerte e dalla loro irriducibilità ad un unico centro decisionale.

Rileva tuttavia l’audace Collegio che la esistenza di un previo concerto tra di esse – sia per quanto attiene alla percentuale del ribasso, sia per ciò che afferisce alla scelta dei subappaltatori – “non può che essere desunta dalle circostanze di fatto che in concreto hanno connotano la partecipazione alla gara e la formulazione delle diverse offerte“.

Nel caso scrutinato le inferenze deduttive non possono che prendere le mosse dall’agere in concreto posto in essere dalle imprese nella gara: è dalla valutazione complessiva di tale contegno che solo potrà discendere il giudizio circa:

– la esistenza di una “relazione, anche di fatto” tra le imprese;

– la eziologica riconducibilità a tale relazione delle offerte formulate dalle imprese interessate.

Ciò che rileva secondo il Collegio, che sfoggia forbiti latinismi, “è la significanza complessiva (e non già parcellizzata) degli elementi fattuali connotanti la azione delle imprese coinvolte, in vista della gara e nel corso delle gara: l’applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. m) d.lgs. 50/16, si imporrà solo allorquando potrà escludersi in nuce – secondo l’id quod plerumque accidit – la “fisiologia” delle offerte formulate dai partecipanti, comechè costituenti il frutto non già di scelte autonomamente formulate, bensì di valutazioni “etero-guidate” e previamente stabilite tra le parti, in guisa da precostituire una posizione collettiva di superiorità informativa rispetto alla platea degli altri ignari concorrenti, sfruttandola al fine di ottenere la aggiudicazione della pubblica commessa in favore di uno dei partecipanti all’accordo“.

Sotto questo profilo il Collegio sottolinea la necessità di ricorrere alla prova presuntiva, volta “a far emergere, nell’interesse generale, fatti e circostanze che i protagonisti hanno l’interesse a celare”, con il conseguente “inevitabile ricorso al ragionamento deduttivo stante la ovvia difficoltà (quando non l’impossibilità) di reperire prove dirette (cd. smoking gun) di fatti o circostanze occulte o occultate“.

Ecco i per certi versi incredibili approdi del Collegio:

nella fattispecie che ne occupa, gli indizi sintomatici del fatto che le offerte presentate dalle imprese controinteressate possano effettivamente essere state scaturigine di una voluntas comune, possono così in appresso sintetizzarsi:

– ampiezza inusitata della complessiva platea dei partecipanti alle gare, effetto giustappunto della partecipazione delle imprese “sospette” (rispettivamente in numero di 9 su 18 nella gara SP27, e di 8 su 15 nella gara SP7 e SP9); e ciò tenuto conto della media dei partecipanti (dai 3 ai 7) ad appalti della specie di quello che ci occupa, indetti dalla provincia di Sondrio nel 2017 e nel 2018 (la stessa gara coevamente bandita per i lavori su SP12 e SP16 ha visto la partecipazione di 7 imprese); e si è già ampiamente illustrato supra come sia proprio l’ampio numero di partecipanti (superiore a 10) a determinare la applicazione del meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale ex art. 97, comma 8, d.lgs. 50/16 (quindi rispettivamente i 9 e 8 partecipanti sono stati ritenuti incongrui rispetto alla media dei partecipanti delle gare bandite dalla stazione appaltante, ricostruita con tale accuratezza dal Collegio da renderla oscillante in una forcella tra 3 e 7 operatori economici, sic!!!);

– indicazione quali subappaltatrici, da parte di tutte le imprese “interessate”, delle medesime società (alfa e beta) che normalmente competono “in via principale” per la aggiudicazione di lavori del genere, costituendo i fisiologici e naturali competitors della società ricorrente nell’area territoriale di riferimento (cfr., i dati e le tabelle puntualmente riportati nelle memorie della società ricorrente) (qui effettivamente il fatto appare strano, ma non certo dirimente o autosufficiente a giustificare l’approdo);

– valori percentuali dei ribassi offerti da dette imprese assai vicini tra loro, in un intervallo compreso tra il 12,262% e il 6,827% (gara SP7 SP9), nonché tra l’11,243% e il 7,093% (gara SP27), molto lontani, peraltro: i) da quelli mediamente offerti dalle imprese aggiudicatarie degli altri appalti di lavori di asfaltatura indetti dalla Amministrazione resistente negli anni 2017 e 2018 (ribassi oscillanti tra il 20,796% e il 37,380%; cfr., ancora le tabelle riportate da parte ricorrente); ii)nonché da quello offerto dalla società ricorrente nelle gare oggetto dell’odierno scrutinio (Un ribasso del 6% è da ritenersi “vicino” ad un ribasso del 12%, che è doppio rispetto al primo? Il Collegio ha verificato la congruità dei prezzi unitari del progetto, e dei progetti delle altre gare che pone in comparazione?);

– natura inusitata della partecipazione a questo genere di gara da parte delle imprese “sospette” che, normalmente, non aspirano alla realizzazione di lavori di tal fatta (cfr., ancora, i dati relativi alle procedure del 2017 e 2018) (La partecipazione di 8/9 imprese è da ritenersi inusitata rispetto al numero di imprese che mediamente partecipano alle gare per l’affidamento di lavori pubblici?);

– mancanza di una richiesta indirizzata alla società ricorrente -da parte di nessuna di tali imprese, normalmente “non interessate” da commesse della specie di quella che ci occupa- volta ad ottenere la disponibilità di essa ricorrente ad operare in subappalto; è ben vero, infatti, come osserva la stazione appaltante, che la scelta delle medesime subappaltatrici (operanti in ambito locale) da parte di un numero così elevato di partecipanti possa in abstracto trovare giustificazione nella esigenza – imposta dalla legge di gara in ragione della necessità di assicurare determinati valori della temperatura del conglomerato bituminoso – che il centro di produzione dovesse di norma essere collocato ad una distanza non superiore a 70 km dal cantiere; ciò che rimane, tuttavia, privo di ragionevoli giustificazioni –peraltro neanche richieste dalla Amministrazione, pure all’uopo sollecitata in via stragiudiziale dalla società ricorrente- è la “medesimezza” delle due società immancabilmente indicate quali subappaltatrici da un numero così elevato di concorrenti, e la assenza di qualsivoglia richiesta del genere formulata nei confronti di un rilevante operatore del settore, quale la società ricorrente (ancor meno rispetto all’altro motivo questo ci pare dirimente, ed esistono del resto gli accordi verbali); .

In definitiva, è la significanza complessiva degli elementi fattuali tutti sopra compendiati, che avrebbe dovuto indurre la Amministrazione a seriamente dubitare della effettiva “autonomia” delle offerte formulate dalle imprese controinteressate e, dunque, ad attivare uno specifico subprocedimento volto ad acclarare – sulla scorta delle coordinate ermeneutiche sopra tracciate, ed in contraddittorio con le interessate e con le stesse imprese indicate come subappaltatrici- la natura di dette offerte e la loro eventuale riconducibilità all’unico centro decisionale di cui è menzione all’art. 80, comma 5, lett. m), d.lgs. 50/2016″.

Ma non era lo stesso Collegio, invero all’unisono con consolidata giurisprudenza, a sostenere che gli indici per determinare l’unicità del centro legale dovevano essere “in numero sufficiente e legati da nesso oggettivo di gravità, precisione e concordanza tale da giustificare la correttezza dello strumento presuntivo“? (cfr. Tar Milano, sez. I, 1 agosto 2018, n. 1918).

In questo caso ci pare che lo strumento presuntivo abbia fatto cilecca, anche se probabilmente il Tribunale avrà avuto a disposizione elementi istruttori ed informativi ulteriori, che non ci è dato conoscere…

Non dimentichiamo però che la composizione del Collegio era la medesima di quello che scrisse la pronuncia qui analizzata, riferita al famoso caso della rilevanza del rinvio a giudizio ai fini dell’integrazione di un illecito professionale, le cui “coordinate ermeneutiche” imponevano al RUP: dapprima superare un concorso in magistratura, poi analizzare gli atti del procedimento penale, poi avallare o smentire le argomentazioni del pubblico ministero mediante un autonomo accertamento dei fatti (sic!), e poi rilevare se risulta integrata un’ipotesi di illecito professionale.

In questo caso le lombarde “coordinate ermeneutiche” onerano il RUP: dapprima di conseguire una laurea in scienze statistiche; di campionare poi le gare dell’ultimo triennio per appurare sia quante imprese parteciparono alle gare, sia che ribasso queste avevano mediamente praticato; di analizzarne le inferenze; di verificare in uno specifico e circoscritto raggio territoriale la presenza di imprese terze idonee ad assumere la veste di subappaltatore in relazione alle specifiche tecniche dedotte in contratto; di calcolare le probabilità, o meglio di tirare una monetina, per capire se le offerte appartenevano o meno ad un unico centro decisionale.

Rup magistrato e Rup ispettore: per chi se lo ricorda, “Op Op Gadget spazza collusi”…

P.S.

Il valore stimato dell’appalto in parola era pari a circa € 160.000…

Scritto da Elvis Cavalleri

Senior partner della società TrasP.A.re, specializzata in contratti pubblici; laureato in giurisprudenza, in scienze e gestione dei servizi (scienze della pubblica amministrazione) ed in scienze del servizio sociale; esperienza decennale in qualità di dipendente di pubbliche amministrazioni nella gestione di gare d'appalto; curatore scientifico del portale giurisprudenzappalti.it