Ingegnere o architetto: chi firma?
Consiglio di Stato, sez. V, 20 novembre 2018, n. 6552
“La sentenza appellata ha respinto il corrispondente primo motivo del ricorso della Lavori Edili e Stradali, ancorando la legittimità della sottoscrizione dell’offerta tecnica del Consorzio aggiudicatario da parte di un architetto (invece che ad un ingegnere) a due ordini di considerazioni, la prima, secondo cui il fatto che l’offerta tecnica contenesse offerte migliorative non sovvertiva per definizione le caratteristiche essenziali del progetto esecutivo posto a base di gara (con la conseguenza che nel concreto l’offerto poteva essere indifferentemente sottoscritta da un ingegnere o da un architetto); la seconda, secondo cui l’oggetto dell’appalto consisteva in un’articolata opera di (ri)sistemazione urbana, così che il contributo in termini di apporto tecnico progettuale sarebbe stato astrattamente fornibile tanto da un architetto quanto da un ingegnere, essendo le prestazioni professionali richieste del tutto equipollenti.
Nessuna di tali considerazioni risulta tuttavia convincente e condivisibile.
2.1.1. Quanto alla prima, è priva di qualsiasi valenza dirimente la circostanza che la legge di gara abilitava anche gli architetti alla sottoscrizione dell’offerta tecnica, atteso che la società odierna appellante contesta proprio tale previsione.
La questione deve essere pertanto essere risolta facendo riferimento (indipendentemente da ogni considerazione circa la astratta differenza tra le migliorie e le varianti, come risultante dalla giurisprudenza amministrativa cui la sentenza fa riferimento, Cons. Stato, V, 10 gennaio 2017 n. 42; ma vedasi anche tra altre, V, 9 settembre 2014 n. 4578 e, più di recente, V, 14 maggio 2018 n. 2853) alla concreta disciplina rinvenibile dal bando di gara e alla puntuale funzione rimessa agli elaborati tecnici siccome ivi previsti.
L’appalto de quo, avente a oggetto i lavori “Grande viabilità urbana – 1° lotto funzionale (tratto via Due Pozzi – via Paradiso)”, attiene alla realizzazione di opere viarie e idrauliche: in particolare, le opere rientranti nell’appalto rientrano (pag. 3 della lex specialis) nelle categorie SOA: prevalente OG3 (strade, autostrade e ponti); scorporabile OG6 (acquedotti); subappaltabile OG10 (impianti per la trasformazione alta/media tensione e per la distribuzione di energia elettrica in corrente alternata e continua e impianti di pubblica illuminazione).
L’offerta tecnica, secondo la previsione del bando (pag. 17), consta di una relazione tecnica contenente “proposte migliorative e aggiuntive” che vengono preconizzate anche in relazione: alla viabilità e al pacchetto stradale; all’inserimento di una pista ciclabile; alla regolazione degli innesti tra la viabilità e la pista ciclabile; all’aumento delle condizioni di sicurezza stradale; agli impianti fognari; all’impianto di smaltimento delle acque meteoriche; all’impianto di fogna nera.
Ciò posto, la conclusione che l’offerta tecnica delle partecipanti non avrebbe potuto sovvertire le caratteristiche progettuali già stabilite dall’Amministrazione non risulta innanzitutto decisiva, considerato che, quand’anche non nella forma più radicale della variante, le previste migliorie e integrazioni – e soprattutto queste ultime – avevano proprio l’obiettivo di impattare sulla viabilità e sulle opere idrauliche come risultante dal progetto posto a gara. Proprio per tali ragioni esse non possono che rientrare nella competenza esclusiva degli ingeneri, ai sensi degli artt. 51 e 54 del regio decreto 23 ottobre 1925, n. 2537, “Approvazione del regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto”.
Si rammenta che il citato art. 51 stabilisce: “Sono di spettanza della professione d’ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo”; l’art. 54, secondo e terzo comma, prevede: “Coloro che abbiano conseguito il diploma di laurea d’ingegnere-architetto presso gli istituti d’istruzione superiore indicati nell’art. 1 della legge entro il 31 dicembre 1924, ovvero lo conseguiranno entro il 31 dicembre 1925, giusta le norme stabilite dall’art. 6 del R.D. 31 dicembre 1923, n. 2909, sono autorizzati a compiere anche le mansioni indicate nell’art. 51 del presente regolamento, eccettuate le applicazioni industriali. La presente disposizione è applicabile anche a coloro che abbiano conseguito il diploma di architetto civile nei termini suddetti, ad eccezione però di quanto riguarda le applicazioni industriali e della fisica, nonché i lavori relativi alle vie, ai mezzi di comunicazione e di trasporto e alle opere idrauliche”.
Per altro verso esse sfuggono alla competenza degli architetti, non rientrando nel concetto di edilizia civile di cui all’art. 52 (“Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere”), ancorchè tale concetto sia considerato nella sua accezione più vasta, richiamata dalla giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 15 marzo 2013 n. 1550: “si può affermare che il concetto di ‘opere di edilizia civile’ si estenda sicuramente oltre gli ambiti più specificamente strutturali, fino a ricomprendere l’intero complesso degli impianti tecnologici a corredo del fabbricato, e quindi non solo gli impianti idraulici ma anche quelli di riscaldamento compresi nell’edificazione”).
Deve al riguardo ancora rammentarsi che, nello stabilire l’ampiezza delle competenze riconosciute, rispettivamente, agli ingegneri e agli architetti ai sensi del combinato disposto degli articoli 51 e 52 dello stesso regio decreto n. 2537 del 1925, la giurisprudenza ha confermato l’orientamento tradizionale, in ordine alla ricomprensione nell’esclusivo appannaggio della professione di ingegnere delle opere di carattere più marcatamente tecnico-scientifico, di ingegneria idraulica, di ammodernamento e ampliamento della rete idrica comunale (Cons. Stato, VI, n. 1550/2013, cit.).
Recentemente la Sezione ha affermato che “Il r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537 recante il regolamento delle professioni di architetto e di ingegnere esclude per via degli artt. 51 e 54 comma 3 senza dubbi interpretativi la possibilità che un architetto possa, in luogo di un ingegnere, condurre i lavori relativi ad opere idrauliche” (Cons. Stato, V, 19 maggio 2016 n. 2095).
2.1.2. Ad analoghe conclusioni, di non condivisibilità del convincimento del primo giudice, deve giungersi anche per il secondo ordine di considerazioni che, oltre a sottovalutare immotivatamente e in concreto la portata delle specifiche varianti migliorative e integrative costituenti, a termini del bando di gara, precipuo oggetto della offerta tecnica delle partecipanti alla procedura, si profila del tutto immotivata anche nel disattendere le distinzioni insistenti tra le due considerate categorie professionali, come pure lamentato dal primo motivo dell’appello in esame.
3. L’appello, assorbita ogni altra questione pure introdotta dalla parte appellante (e tra esse quella della possibilità di una contemporanea iscrizione agli ordini delle due considerate professioni di ingegnere e architetto), va pertanto accolto, con conseguente riforma della sentenza appellata e accoglimento della domanda demolitoria formulata in primo grado.
4. Non vi è vi è luogo, invece, per la pronunzia risarcitoria pure sollecitata nel ricorso di appello”.