Come vi avevamo anticipato qui proponendo la sentenza non definitiva Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 05 gennaio 2018, n. 28, ecco la relativa ordinanza collegiale Tar Lombardia, Milano, sez. I, ordinanza n. 148 del 19 gennaio 2018 che rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione europea questione pregiudiziale di interpretazione del diritto dell’Unione Europea formulando il seguente quesito interpretativo:
“Se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), l’articolo 71 della direttiva 2014/24del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo18 aprile 2016, n. 50, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”.
“Il raffronto tra le sopra richiamate disposizioni nazionali in materia di subappalto e il diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, induce il Collegio a dubitare della compatibilità dell’art. 105, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. n. 50/2016, rispetto ai principi e alle regole ricavabili dagli articoli 49 e 56 TFUE e dall’art. 71 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014.
La previsione di un limite generale del 30 % per il subappalto, con riferimento all’importo complessivo del contratto, sia per il contratto di lavori, sia per quello di servizi e forniture, impedendo agli operatori economici di subappaltare a terzi una parte cospicua delle opere (70 %), può rendere più difficoltoso l’accesso delle imprese, in particolar modo di quelle di piccole e medie dimensioni, agli appalti pubblici, così ostacolando l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi e precludendo, peraltro, agli stessi acquirenti pubblici l’opportunità di ricevere offerte più numerose e diversificate; tale limite, non previsto dall’art. 71 della direttiva 2014/24, impone una restrizione alla facoltà di ricorrere al subappalto per una parte del contratto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, in contrasto con gli obiettivi di apertura alla concorrenza e di favore per l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
Il Consiglio di Stato, come si è rilevato sopra, nel parere n. 782/2017 ha osservato che le limitazioni quantitative al subappalto, previste dal legislatore nazionale, vanno vagliate, e possono essere giustificate, da un lato alla luce dei principi di sostenibilità sociale che sono alla base delle stesse direttive, e dall’altro lato alla luce di quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici.
In quest’ottica, l’obiettivo di assicurare l’integrità dei contratti pubblici e la loro immunità da infiltrazioni della criminalità potrebbe giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.
Occorre tuttavia considerare che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi “può essere giustificata qualora essa persegua un obiettivo legittimo di interesse pubblico e purché rispetti il principio di proporzionalità, vale a dire, sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo e non vada oltre quanto è necessario a tal fine” (sentenza del 5 aprile 2017, causa C-298/15, cit., al punto 51, che richiama le sentenze del 27 ottobre 2005, Contse e a., C-234/03, EU:C:2005:644, punto 25, nonché del 23 dicembre 2009, Serrantoni e Consorzio stabile edili, C-376/08, EU:C:2009:808, punto 44)”.
Ed invero, proprio alla luce della rilevanza che la Corte di Giustizia attribuisce al requisito della proporzionalità della misura restrittiva in questione, il Collegio dubita che il limite quantitativo di cui all’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 possa ritenersi giustificato, tenuto conto dell’evoluzione che ha interessato la disciplina del subappalto, a livello sia eurounitario sia nazionale.
Al riguardo, infatti, occorre evidenziare che l’art. 71 della direttiva 2014/24 e l’art. 105 del d.lgs. n. 50/2016prevedono una serie di obblighi informativi e di adempimenti procedurali, per effetto dei quali l’impresa subappaltatrice può oggi ritenersi assoggettata a controlli analoghi a quelli svolti nei confronti dell’impresa aggiudicataria; in particolare, la stazione appaltante è posta in condizione di conoscere, in anticipo, le parti dell’appalto che si intende subappaltare a terzi e l’identità dei subappaltatori proposti, nonché di verificare, in capo al subappaltatore, il possesso della qualificazione, l’assenza di motivi di esclusione, la posizione di regolarità contributiva e il rispetto degli obblighi di sicurezza.
Orbene, nel descritto contesto normativo, la misura drastica della limitazione quantitativa del subappalto al 30 % dell’importo complessivo del contratto non sembra rappresentare lo strumento più efficace ed utile (che “non vada oltre quanto è necessario a tal fine”) al soddisfacimento dell’obiettivo di assicurare l’integrità del mercato dei contratti pubblici; tale obiettivo, infatti, pare potersi ritenere già adeguatamente soddisfatto per mezzo delle nuove previsioni che consentono (purché correttamente applicate) di effettuare verifiche e controlli più pregnanti rispetto al passato, finalizzate a garantire che il subappalto venga affidato, in condizioni di trasparenza, ad operatori capaci e immuni da controindicazioni.
Un’ulteriore riflessione si ritiene necessaria, a parere del Collegio, con riguardo alle finalità che il legislatore nazionale ha direttamente correlato alla norma che limita il ricorso al subappalto, quali sono quelle evidenziate dal Consiglio di Stato nel parere soprariportato attraverso il riferimento a “quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici”.
Ai richiamati valori, come si è rilevato sopra (v. par. 2.2), può certamente essere ricondotta la funzione di deterrenza, rispetto al fenomeno criminoso e corruttivo, rinvenibile negli interventi legislativi succedutisi a partire dalla legge 19 marzo 1990, n. 55, cui la norma in questione si ispira.
Orbene, va evidenziato, in proposito, che le disposizioni nazionali già prevedono una serie di attività interdittive affidate ai Prefetti, espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel Paese.
Anche questo profilo, quindi, può rilevare, ad avviso del Collegio, ai fini della valutazione circa il rispetto del principio di proporzionalità sopraevidenziato, nella misura in cui la previsione restrittiva del subappalto introduce ulteriori limiti e quindi aggrava le conseguenze della restrizione imposta al mercato, poiché colpisce, come effetto riflesso, anche le imprese estranee a quel fenomeno, che non hanno alcuna ragione di essere penalizzate dalla norma della cui compatibilità eurounitaria si dubita”.