La specialità del sistema dei contratti pubblici impedisce di cristallizzare i compensi professionali tramite eterointegrazione automatica delle disposizioni della l. n. 49/2023. Le norme sull’equo compenso sono da considerare come principi direttivi cui la stazione appaltante deve indefettibilmente improntare la propria valutazione di congruità dell’offerta provvisoriamente aggiudicataria.
Per cui soltanto nel subprocedimento di verifica dell’anomalia è da valutare la voce corrispondente alle remunerazioni spettanti ai professionisti incaricati, la cui esatta entità andrà, in tale appropriata sede, rapportata ai parametri tabellari vigenti.
Questo quanto stabilito da Tar Campania, Salerno, Sez. II, 16/07/2024, n. 1494:
Considerato, in merito al ricorso principale, che:
a) con riguardo alla questione della lesione dell’equo compenso ex artt. 1 ss. l. n. 49/2023:
– in primis, giova, precipuamente, rammentare che la l. n. 49/2023: — all’art. 1, definisce l’equo compenso come «compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale», nonché conforme ai parametri di cui ai relativi decreti ministeriali per le varie professioni (avvocato, ingegnere, architetto, ecc.); — all’art. 2, individua l’ambito di applicazione della normativa, che afferisce anche alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione; — all’art. 3, comma 1, sanziona con la nullità le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, e cioè le clausole che individuano una remunerazione inferiore agli importi stabiliti dai cennati parametri ministeriali; — all’art. 3, comma 5, prevede che il professionista possa impugnare il contratto recante importo inferiore ai suddetti parametri innanzi al tribunale competente, per farne valere la nullità e chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività svolta;
– ora, il Collegio non ignora che TAR Veneto, Venezia, sez. II, n. 632/2024 e TAR Lazio, Roma, sez. V, n. 8580/2024, nel presupposto dell’applicabilità del principio dell’equo compenso ai rapporti tra prestatori d’opera intellettuale e pubblica amministrazione, sancita dall’art. 8 del d.lgs. n. 36/2023, nonché nel presupposto della ravvisata compatibilità della disciplina dettata dalla l. n. 49/2023 a salvaguardia dell’equilibrio sinallagmatico del rapporto di prestazione d’opera professionale con quella dettata dal citato d.lgs. n. 36/2023 in materia di contratti pubblici, hanno ritenuto che le norme prescrittive dell’equo compenso in favore dei professionisti – riguardati nella relativa posizione di ‘contraenti deboli’ – siano imperative ed eterointegrative della lex specialis di gara, così da rendere in radice incongrue le offerte economiche – quale, a dire della G. C. T., quella della G. I. – formulate in violazione di esse, laddove contemplanti ribassi sui corrispettivi delle prestazioni professionali richieste in appalto;
– entrambe le pronunce richiamate postulano, tuttavia, l’estromissione di simili offerte economiche non già – come propugnato dalla ricorrente principale – a monte, bensì – come, appunto, avvenuto nella specie – a valle della relativa verifica di anomalia;
– è, infatti, soltanto all’esito di quest’ultimo subprocedimento che si rende compiutamente e concretamente apprezzabile, entro il contesto complessivo dell’offerta economica scrutinata, la voce corrispondente alle remunerazioni spettanti ai professionisti incaricati dall’impresa concorrente, la cui esatta entità andrà, in tale appropriata sede, rapportata ai parametri tabellari vigenti;
– la predicata eterointegrazione della disciplina di gara con quella sull’equo compenso professionale sconta, peraltro, i limiti intrinseci ed estrinseci di compatibilità o sovrapponibilità dei due impianti normativi (d.lgs. n. 36/2023 e l. n. 49/2023), che incidono su campi di materie e rispondono a finalità tra loro non perfettamente coincidenti ed omogenee;
– in particolare, detta compatibilità o sovrapponibilità (forse più efficacemente definibile in termini di ‘non antinomia’) è stata considerata dall’ANAC, nell’atto del Presidente del 19 aprile 2024, indirizzato alla Cabina di Regia per il Codice dei contratti pubblici, sotto un’angolazione diversa rispetto a quella da cui muovono i richiamati arresti giurisprudenziali; e cioè nella plausibile prospettiva che il regime dell’equo compenso non deroghi, bensì integri il sistema dei contratti pubblici, senza frustrarne la sostanza proconcorrenziale di derivazione euro-unitaria (artt. 49, 56, 101 TFUE, 15 della dir. 2006/123/CE), e, quindi, senza elidere in radice la praticabilità del ribasso sui corrispettivi professionali, la cui determinazione non è da intendersi rigidamente vincolata a immodificabili parametri tabellari, ma la cui congruità (in termini di equilibrio sinallagmatico) rimane, in ogni caso, adeguatamente assicurata dal modulo procedimentale di verifica all’uopo codificato, quale, appunto, esperito nei confronti della G. I., esclusa per acclarata anomalia anche del ribasso praticato sul corrispettivo dei servizi di progettazione;
– in altri termini, il Codice dei contratti pubblici, tramite il subprocedimento di verifica di anomalia delle offerte, risulta apprestare meccanismi idonei ad evitare che le prestazioni professionali siano rese a prezzi incongrui, consentendo, nel contempo, alle amministrazioni di affidare gli appalti a prezzi più competitivi;
– «Nel definire il rapporto esistente tra i due sistemi – argomenta il citato atto del Presidente dell’ANAC del 19 aprile 2024 – occorre … considerare che la legge n. 49/2023, sebbene successiva al Codice, non ha derogato espressamente allo stesso, ai sensi del relativo art. 227, e pertanto la stessa si applica ai contratti pubblici nell’ambito della relativa disciplina. D’altra parte, lo stesso art. 3, coomma 3, della legge n. 49/2023 stabilisce che non sono nulle le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che riproducono disposizioni o attuano principi europei.
Occorre inoltre evidenziare che anche il codice dei contratti pubblici già persegue la finalità sottesa alla legge n. 49/2023, pur dovendo naturalmente orientarsi nel rispetto del diritto europeo e dei principi generali in esso declinati, oltre che con modalità adeguate al meccanismo della gara pubblica. In tale ottica devono essere lette le disposizioni di seguito richiamate. In attuazione dell’articolo 8, comma 2, il quale prevede che la pubblica amministrazione garantisca l’applicazione del principio dell’equo compenso; l’articolo 41, comma 15, fissa la modalità per l’individuazione dei corrispettivi da porre a base di gara facendo riferimento alle tabelle contenute nell’allegato I.13. L’articolo 108, comma 2, individua, quale criterio di aggiudicazione per i servizi tecnici di importo pari o superiore a 140.000,00 euro quello del miglior rapporto qualità-prezzo, garantendo un’adeguata valutazione dell’elemento qualitativo. È prevista l’applicazione di specifici meccanismi volti a scongiurare la presentazione di offerte eccessivamente basse e, quindi, non sostenibili (la disciplina sull’anomalia dell’offerta, la possibilità di prevedere un’appropriata ponderazione tra punteggio qualitativo ed economico, la possibilità di utilizzare formule per il punteggio economico che disincentivino eccessivi ribassi).
Così interpretato, il quadro normativo di riferimento appare coerente sia a livello nazionale che a livello europeo. Sotto quest’ultimo profilo occorre considerare che l’articolo 3, comma 3, della legge n. 49/2023 fa salve dalla sanzione della nullità le clausole che prevedono l’applicazione di compensi inferiori ai minimi tabellari in quanto riproduttive di disposizioni di legge (tra cui rientrano le disposizioni comunitarie e nazionali in materia di contratti pubblici) o attuative di principi europei (tra cui il principio di concorrenza).
Appare opportuno evidenziare, altresì, che la previsione di tariffe minime non soggette a ribasso rischia di porsi in contrasto con il diritto euro-unitario, che impone di tutelare la concorrenza. Come chiarito dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 4 luglio 2019, causa C-377/2017, infatti, in materia di compensi professionali, l’indicazione delle tariffe minime e massime è vietata in quanto incompatibile con il diritto dell’Unione Europea, ma sono comunque ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi, posizione confermata dalla successiva sentenza del 25/1/2024, causa C-438/2022 secondo cui le tariffe minime relative al compenso professionale degli avvocati devono essere disapplicate in quanto contrastanti con il principio di concorrenza.
È inoltre opportuno evidenziare che la legge n. 49/2023 è applicabile ai rapporti professionali aventi ad oggetto prestazioni d’opera intellettuale di cui all’art. 2230 del Codice civile (contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale nell’ambito di un lavoro autonomo) e più in generale a tutti quei rapporti contrattuali caratterizzati dalla posizione dominante del committente, in cui è necessario ripristinare l’equilibrio sinallagmatico. I contratti pubblici aventi ad oggetto la prestazione di servizi di ingegneria e architettura, invece, sono normalmente riconducibili ai contratti di appalto ex articolo 1655 del Codice civile, con cui una parte assume l’organizzazione dei mezzi necessari e la gestione a proprio rischio.
Nel merito si ritiene utile considerare che la concorrenza sul prezzo, in ogni sua componente, rappresenta un elemento essenziale per il corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali delle gare pubbliche e che l’eventuale limitazione alle sole spese generali o all’elemento qualitativo rischierebbe di introdurre di fatto una barriera all’ingresso per gli operatori, più giovani, meno strutturati e di minore esperienza.
Sotto il profilo della spesa pubblica, l’Autorità ritiene ulteriormente necessario mettere in evidenza che, ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 49/2023, dall’attuazione della stessa legge “non devono derivare, nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, circostanza che, invece, si realizzerebbe in caso di gare a prezzo fisso. L’opzione individuata consente di mantenere il quadro economico finanziario della programmazione che è già stata fatta per gli investimenti del PNRR, quadro economico-finanziario che invece rischierebbe di essere compromesso, con evidenti ricadute sui tempi di attuazione ed aumento del contenzioso, in caso di valutazioni diverse. Considerazioni analoghe possono essere effettuate anche per gli investimenti non legati al PNRR.
Infine, va considerato che l’applicazione dell’articolo 3, comma 5, della richiamata legge n. 49/2023, che ammette il ricorso al giudice civile per contestare l’affidamento ad un prezzo inferiore rispetto a quello definito in ossequio all’allegato I.13 del d. lgs 36/2023, oltre a determinare una sovrapposizione con i poteri e le competenze delle stazioni appaltanti in termini di verifica della congruità delle offerte, produrrebbe una situazione di assoluta instabilità e incertezza sull’affidamento e sulle relative condizioni, con evidenti ripercussioni sulla spesa pubblica. In particolare, l’esito positivo del giudizio ordinario comporterebbe la necessaria modifica del quadro economico finanziario dell’intervento, con conseguenti ricadute, anche sulla capacità di spesa futura, che appaiono tanto più evidenti per gli interventi finanziati con i fondi del PNRR»;
– l’illustrata specialità del sistema dei contratti pubblici, che risponde ad una sua immanente logica proconcorrenziale, per certi versi antagonistica rispetto all’irrigidimento tabellare di singole voci di offerta, impedisce, dunque, di cristallizzare i compensi professionali tramite la propugnata eterointegrazione automatica delle disposizioni della l. n. 49/2023; e induce, piuttosto, a considerare queste ultime a guisa di principi direttivi cui la stazione appaltante deve indefettibilmente improntare la propria valutazione di congruità dell’offerta provvisoriamente aggiudicataria;
– ne è riprova la previsione dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023, il quale, se da un lato, stabilisce che «la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso», d’altro lato, ammette, sia pure «in casi eccezionali e previa adeguata motivazione», perfino «prestazioni d’opera intellettuale … rese dai professionisti gratuitamente»;
– in ogni caso, il predicato meccanismo di eterointegrazione – che, stando alla prospettazione attorea, dovrebbe, nella specie, operare in relazione punto 19.6 dell’atto di invito, non annoverante tra le cause di esclusione delle offerte economiche la violazione della l. n. 49/2023 – non appare fondatamente invocabile a fronte del delineato quadro normativo, tutt’altro che univoco e perspicuo circa l’incidenza della disciplina in materia di equo compenso professionale sul regime dei contratti pubblici;
– in questo senso, l’ANAC, nel parere di precontenzioso n. 101 del 28 febbraio 2024, ha così argomentato la ritenuta inapplicabilità delle disposizioni della l. n. 49/2023 in via di eterointegrazione della lex specialis: «secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, di regola, le condizioni di partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici devono essere tutte indicate nel bando di gara, la cui eterointegrazione con obblighi imposti da norme di legge deve ritenersi ammessa in casi eccezionali, poiché l’enucleazione di cause di esclusione non conosciute o conoscibili dai concorrenti contrasta con i principi europei di certezza giuridica e di massima concorrenza Cons. Stato, V, 28 ottobre 2016, n. 4553); si è osservato, in particolare, che l’eterointegrazione del bando costituisce – in relazione alla sua attitudine ad incidere in maniera significativa sull’affidamento che la platea dei potenziali concorrenti deve poter nutrire sulla chiarezza, precisione ed univocità delle condizioni richieste per l’accesso alle procedure evidenziali, la cui formulazione incombe alla stazione appaltante – dispositivo del tutto eccezionale, suscettibile di operare solo in presenza di norme di settore a generale attitudine imperativa, la cui deroga sia in principio preclusa alle opzioni programmatiche della stessa amministrazione aggiudicatrice (Cons. Stato, 28 agosto 2019, n. 5922). Anche la Corte di Giustizia ha riconosciuto che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, consentendo allo stesso un termine per regolarizzare la posizione (Corte di Giustizia, sentenza 2 giugno 2016, C-27/15, Pippo Pizzo)»;