Il nuovo ed innovativo procedimento (ed il nuovo rito) relativo all’accesso agli atti nel settore dei contratti pubblici è particolarmente complesso.
Due sentenze in data odierna se ne sono occupate.
T.A.R. Toscana, IV, 25 settembre 2024, n. 1035 ricostruisce magistralmente l’ordito normativo, e si suggerisce quindi una integrale lettura della sentenza.
D’interesse è la chiara esplicitazione di quanto già ricavabile dalla norma:
la necessità di una richiesta di accesso non dovrebbe trovare luogo in base all’assetto voluto dal Codice dei contratti vigente, essendo automaticamente riconosciuto a chi partecipa alla gara e non ne è “definitivamente” escluso, di accedere in via diretta, non solo a “documenti” (offerta dell’aggiudicatario, verbali di gara e atti), ma anche “ai dati e alle informazioni” inseriti nella piattaforma ex articolo 25 del Codice, e ciò a partire dal momento della comunicazione digitale dell’aggiudicazione.
Chiaramente l’assunto non è valevole per gli offerenti collocati dal sesto posto in poi in graduatoria, i quali dovranno esercitare il diritto d’accesso nelle forme tradizionali.
Una sola notazione. Secondo il Collegio “l’accesso alle parti oscurate può e deve essere comunque consentito, qualora esso sia “indispensabile” ai fini della difesa in giudizio degli interessi giuridici dell’operatore economico interessato, come rappresentati in relazione alla procedura di gara“.
Detta valutazione, va epperò chiarito, non è di competenza della stazione appaltante, che è onerata di esprimersi esclusivamente sulla sussistenza o meno del segreto tecnico e commerciale, ma bensì del Giudice. E qui il paradosso: se quest’ultimo, pur confermando la presenza di segreti tecnici, ritenesse cionondimeno sussistente la fattispecie prevista dall’art. 35, c. 5 del Codice (i.e. indispensabilità a fini di giustizia), condannerebbe la stazione appaltante, pur a fronte di un provvedimento formalmente legittimo?
T.A.R. Campania, Salerno, II, 25 settembre 2024, n. 1721, viceversa, addiviene ad un’interpretazione della norma non condivisibile, sviluppando i seguenti ragionamenti che non trovano alcun appiglio nel dato normativo:
“L’art. 120 c.p.a. così recita:
“il termine decorre, per il ricorso principale ed i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 90 del D.Lgs 36/2023 oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione per tutti i concorrenti non esclusi, ai sensi dell’art. 36, commi 1 e 2, del medesimo codice dei contratti pubblici”.
La lettura interpretativa dei prefati incisi testuali conduce ad ipotizzare l’enucleazione di due fattispecie differenti, poste in relazione di applicabilità antitetica, peraltro avvalorata dalla presenza, nella cornice dispositiva, della stessa congiunzione “oppure”.
In virtù del predetto inciso, la decorrenza del termine per ricorrere si atteggia diversamente, a seconda della diversa fattispecie che viene in rilievo, che si tratti di ricezione della comunicazione ex art. 90 oppure della messa a disposizione degli atti ex art. 36, mediante la procedura dell’accesso.
A questo punto soccorrono le regole cardine della pienezza conoscitiva strumentali all’inviolabilità del diritto di difesa, costituzionalmente tutelato.
Per cui, laddove la comunicazione degli esiti di gara ex art. 90 abbia esaustivamente soddisfatto l’interesse sostanziale conoscitivo e non si intenda attendere la messa a disposizione per tutti i concorrenti non esclusi, allora opera il tradizionale termine decadenziale dei trenta giorni ai fini dell’esperibilità del ricorso avverso gli atti di gara.
Allorchè, invece, la conoscenza di atti ulteriori e diversi assurga a condizione ineludibile per poter acquisire una pienezza conoscitiva, rintracciabile mediante l’istituto dell’accesso formale, allora si applica la logica della dilazione temporale con un’estensione fino ai 45 giorni“.
In primo luogo è legittimo dubitare dell’applicabilità dell’art. 36 del nuovo Codice ad una gara bandita prima del 01/01/2024, giusta quanto previsto dall’art. 225, c. 2 del nuovo Codice medesimo.
Nel merito, la statuizione del T.A.R. pare erronea nella misura in cui ritiene di perdurante applicabilità il principio di diritto espresso dall’Adunanza Plenaria 12/2020, ovvero la celeberrima dilazione temporale di quindici giorni ricavata dall’art. 76 del d.lgs. 50/2016 (dieci giorni in vigenza del 163/2006, sulla base dell’art. 79).
Nel nuovo Codice, infatti, non è rinvenibile alcun termine cui ancorare la dilazione temporale, anche per le ragioni indicate dal T.A.R. Toscana su annotato: gli operatori non sono onerati di presentare alcuna istanza di accesso; la SA è onerata di ostendere i documenti contestualmente alla comunicazione di aggiudicazione.
L’inerzia, pertanto, sarebbe addebitabile esclusivamente alla PA (i.e. mancata ostensione d’ufficio dei documenti), e non certo agli operatori economici.
Dal che, nei casi in cui effettivamente rilevi un’inerzia della PA, non può che trovare applicazione quanto previsto dall’art. 120 cpa, secondo cui i termini decorrono “dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione per tutti i concorrenti non esclusi”, anche a seguito del rilevato silenzio inadempimento della PA.
Da notare infine la possibile discrasia tra quanto previsto dall’art. 120, c. 2 cpa (decorrenza dalla comunicazione di aggiudicazione oppure dalla messa a disposizione degli atti) e l’art. 36 c. 9 del Codice (decorrenza comunque dalla comunicazione di aggiudicazione).
Pare però potersi affermare che quest’ultima norma si riferisca allo speciale rito previsto dal comma 4 dell’articolo 36: Il ricorso avverso le decisioni sull’oscuramento delle parti coperte da segreto non determina una dilazione temporale per l’impugnazione dell’aggiudicazione “allo stato degli atti”. In caso di accoglimento del ricorso sull’accesso, se del caso, potranno certamente essere proposti motivi aggiunti per vizi sottesi alle parti d’offerta ostese in seguito al giudizio, ovvero un ricorso introduttivo allorquando i vizi si riferissero alle sole parti in precedenza oscurate.
Ove invece la stazione appaltante non ottemperi ab origine a quanto previsto dai primi due commi dell’art. 36 non è verosimilmente predicabile alcuna possibile consumazione del termine decadenziale di impugnazione dell’aggiudicazione, sino alla sopravvenuta ottemperanza.
Update
Re melius perpensa, sebbene il Consiglio di Stato abbia avallato la posizione dallo scrivente poche righe sopra espressa (8352/2024), confermando che “il dies a quo del termine decadenziale stabilito per l’impugnazione degli atti di gara, coincide, dunque, con quello in cui l’interessato acquisisce, o è messo in grado di acquisire, piena conoscenza degli atti che lo ledono“, un siffatto approdo non convince fino in fondo.
Cosa succederebbe se il secondo graduato, a fronte della mancata ostensione ex art. 36, presentasse istanza di accesso dopo molto tempo (anche mesi) dalla comunicazione dell’aggiudicazione?
A seguito dell’ostensione, a cagione dell’originaria inerzia della SA, sarebbe ancora in termini per la presentazione del ricorso, se questi decorrono dal momento in cui l’interessato acquisisce conoscenza degli atti che lo ledono?
Che riflessi ha l’inerzia del concorrente nella richiesta d’accesso rispetto alla tempestività del ricorso?
Può davvero ammettersi che sia il concorrente arbitro di determinare ad libitum la decorrenza del termine d’impugnazione, così rendendo indeterminata la data del consolidamento dell’esito di gara, in contrasto con le esigenze di celerità e certezza dei rapporti giuridici, amplificate dal d.lgs. 36/2023, che permeano da sempre i contratti pubblici?
Dopo essermi posto queste domande mi è parso meno irragionevole l’orientamento T.A.R. Salerno, invero ripreso dal T.A.R. Milano.
E ciò anche in virtù del fatto che non corrisponde al vero il mio precedente assunto secondo cui “Nel nuovo Codice, infatti, non è rinvenibile alcun termine cui ancorare la dilazione temporale“.
Sotto questo profilo non va dimenticato che l’art 76 del d.lgs. 50/2016 , sebbene abrogato e non riproposto nel d.lgs. 36/2023, costituisce testuale recepimento dell’art. 55 della Direttiva 2014/24/UE.
Detto art. 55 è espressivo di una norma immediatamente precettiva, in particolare sotto il profilo della precisa e puntuale “norma di obbligo” che si rivolge, senza che occorra alcuna disciplina attuativa di sorta da parte degli Stati membri, a qualunque stazione appaltante ed a qualsiasi operatore economico.
L’art. 55 è quindi ancora pienamente applicabile nell’ordinamento interno ogniqualvolta la stazione appaltante ometta le pubblicazioni ex art. 36 del d.lgs. 36/2023, con conseguente perdurante applicabilità del principio di diritto espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 12/2022).
Del resto, anche se con riferimento alla previgente normativa, la giurisprudenza ha costantemente affermato che rimane in capo al concorrente l’”onere di proporre l’accesso (…) tempestivamente, come certo l’ordinaria diligenza, prima ancora che l’art. 120, comma 5, c.p.a. gli impone di fare” (Cons. Stato, VII, 20 giugno 2023, n. 6043).
Ed invero, anche la recente pronuncia del Consiglio di Stato (8352/2024), richiamando la Corte di Giustizia UE (IV, 14 febbraio 2019, C-54/18) ha specificato che il dies a quo per la proposizione del ricorso decorre (anche) dal momento in cui la ricorrente “avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione” o, per dirla con la Consulta, “avrebbe potuto prendere conoscenza usando l’ordinaria diligenza” (Corte Cost., 28 ottobre 2021 n. 204).
I 15 giorni previsti dall’art. 55 della direttiva appalti, quindi, ben potrebbe continuare ad essere il canone per vagliare il rispetto da parte del concorrente dell’onere di diligenza che su esso incombe.